La Chiesa di San Giovanni Battista

La chiesa di Canale è molto antica. Molto probabilmente esisteva già nel XII secolo. Ma il primo documento sicuro risale al 1361. Già dal Duecento sembra essere stata Cappellania della Pieve di Àgordo del cui Arcidiaconato faceva parte.
Nella Valle del Bióis (a cui Canale appartiene) esisteva però da secoli la chiesa di San Simón che alcuni studiosi fanno risalire al 720 d.C. Essa è comunque nominata in una bolla di Papa Lucio III nel 1185. Ad essa facevano capo gli abitanti della Valle e, anticamente, pure quelli della Valle del Cordévole Superiore (i quali si recavano per la messa che veniva celebrata da un cappellano appositamente mandato dall’Arcidiacono), sebbene la sede parrocchiale rimanesse ad Àgordo. Ma la parrocchia era lontana e i fedeli sentivano l’esigenza di avere un sacerdote accanto a sé, perciò chiesero un cappellano stabile per la chiesa di San Simón (che sembra lo avesse avuto già dal X secolo).
Verso il secolo XIII – quando il centro religioso cominciò a spostarsi verso Canale, dove era fervente la lavorazione del ferro ricavato dalle miniere della Valle di Garés- fu creata la Cappellania di Canale e le due chiese ebbero un unico cappellano in comune. Nonostante ciò il sacerdote veniva spesso a mancare per difficoltà di vario genere (il clima ostile, le piene del Bióis che impedivano l’accesso all’omonima valle, e per di più il fatto che egli potesse venir richiamato ad Àgordo ogniqualvolta l’Arcidiacono lo desiderasse). Perciò la gente cominciò a sentire l’esigenza di un sacerdote residente in loco.
Fu per questa ragione che il cappellano di San Simón e Canale il bavarese Georg von Bamberg nel 1430 si incamminò verso Roma nella speranza di ottenere dal papa l’erezione della pieve di Canale; ma non poté raggiungere lo scopo prefissosi perché la morte lo colse durante il viaggio. Soltanto il 4 maggio 1456 il Sommo Pontefice Callisto III decretò l’erezione a pieve della cappella di San Giovanni Battista di Canale. Il decreto divenne però effettivo solo il 3 settembre 1458 per le difficoltà interposte dall’Arcidiaconato di Agordo. Così la chiesa di San Giovanni Battista divenne il luogo dove i fedeli della Val del Bióis accorrevano per ricevere i sacramenti, seppellire i morti (ad eccezione degli abitanti di Vallada e di quelli a ridosso del Col di Frena che continuarono a seppellire i loro morti a San Simón), ascoltare la messa domenicale e partecipare alla funzioni solenni. “La chiesa è ricordata per la prima volta in un documento del 1361. Verso la metà del XV secolo subì un restauro e forse un ampliamento o rinnovamento completo; il 28 luglio 1472 il vescovo di Belluno Pietro Barozzi, consacrava l’altar maggiore e i due laterali della Beata Vergine dei Battuti e di San Sebastiano: più tardi, si ha notizia di un altare dedicato a San Niccolò, ricostruito nel 1539 da Franceschino Chioldel. La chiesa aveva una sola nave a capriate visibili; il coro era tutto dipinto, illuminato da quattro finestre, tre nell’abside e una verso mezzogiorno. Sulla parete esterna meridionale s’innalzava il campanile e sul “prato di San Giovanni” si stendeva il cimitero. Nel 1567-68 s’iniziava la costruzione delle navate laterali – pare sotto forma di cappelle comunicanti tra loro -, e circa cinquant’anni dopo fu rinnovato il coro e vennero fatti altri lavori. L’altar maggiore era di pietra, ben conformato, e chiuso entro una custodia di legno; sovrastava l’altare, addossato alla parete, un trittico gotico “ex sculpturis ligneis elegantibus, deauratis probe…Germanici artificis”. Nel mezzo c’era la Vergine Madre col figlio sulle ginocchia, a destra San Giovanni Battista, a sinistra San Simone, e sopra il capo della Vergine un nimbo di Cherubini: in alto un coronamento architettonico rappresentava la Crocifissione del Signore. Chiudevano lo stipo i due battenti: quello di destra portava scolpite le immagini di San Lorenzo, san Sebastiano, san Niccolò, san Martino; quello di sinistra san Michele, sant’Antonio, san Rocco e un ignoto. Sul piedistallo erano raffigurate santa Giuliana e santa Caterina. Nel 1613 il vescovo Lollino ordinava di costruire un tabernacolo e di collocarlo sull’altar maggiore per riporvi il santissimo Sacramento.
La chiesa come ora si presentava aveva nove finestre: tre nel presbiterio e le altre lungo le pareti; in alto, nella navata mediana che conservava il soffitto di legno, occhieggiavano sei piccoli rosoni. Il pavimento era di tavole, costruito in pietra nel 1686 quando l’edificio venne restaurato e portato a compimento. Davanti alla porta maggiore si protendeva un vestibolo o portico. Cinque altari laterali, quasi tutti uguali, con un dossale scolpito che racchiudeva nel mezzo un dipinto su tela, ornavano l’interno del tempio. Dal lato del Vangelo si allineavano gli altari della Beata Vergine dei Battuti, di San Niccolò, di Santa Lucia (cui venne unito nel 1675 sant’Antonio da Padova). Dal lato dell’epistola c’era l’altare di san Sebastiano e quello del santo Rosario, consacrato dal vescovo Giovanni Delfino il 4 settembre 1626.

Il 29 agosto 1741 la chiesa venne danneggiata da un incendio. Fu restaurata nei due anni successivi. Gli altari di san Sebastiano e di san Niccolò cambiarono il titolo rispettivamente in quello del Corpus Domini (costruito nel 1766) e delle Anime Purganti. Quest’ultimo aveva due cariatidi di Giovanni Marchiori: il Tempo e la Morte, (ora custodite in una cappella della chiesa).
Nel 1740 la cuspide del campanile ebbe la forma attuale” (F. Tamis: Storia dell’Agordino, vol. 11 pagg. 138-139).
Nel 1859 l’Arciprete don Agostino Costantini pensò di restaurare la chiesa, perciò chiese l’intervento dell’architetto feltrino Giuseppe Segusini il quale progettò il nuovo interno e la facciata della chiesa che ora si presenta a tre navate in stile neoclassico. Sulla facciata è incastonato un medaglione in terracotta di Valentino Panciera Besarel che rappresenta il Battesimo di Gesù nel Giordano. Il campanile custodisce cinque campane (fuse dopo la 1ª guerra mondiale). La più grande (9 q) è dedicata a San Giovanni Battista, patrono della Pieve, la 2ª(6 q) alla Madonna, la 3ª (4 q) a San Giuseppe), la 4ª (90 kg) a santa Lucia e sant’ Angela, la 5ª, senza dedica, è la più antica e non fu asportata dai tedeschi nella prima Guerra Mondiale. Le tre maggiori hanno la scritta “Me fregit furor hostis, at hostis ab aere revixi, Italiam clara voce Deumque canens” (mi distrusse la furia del nemico, ma dal suo stesso bronzo rinacqui, cantando con voce squillante all’Italia e a Dio) in ricordo della distruzione delle vecchie campane. Il campanile raggiunge i 36 m e ha un angelo di 1,70 m. Di certo esso è anteriore al XVI secolo, in quanto risulta conglobato nelle navate laterali, che furono costruite nel 1567.

                              interno canale

Così, per chi entra, si presenta ora l’interno della chiesa: alle spalle, sulla cantoria, è posto l’organo di Gaetano Callido del 1801 (ca. 800 canne e 19 registri). L’organo sostituisce quello più antico, noto come parvum organum, che compare in un documento del 1655 ed era collocato su una tribuna posta nell’arcata destra vicino alla sacrestia vecchia. Sulla destra si erge il fonte battesimale in pietra con la piramide di legno di Amedeo Da Pos (1933), scultore di Carfón di Canale. La statua (in sostituzione di quella del Marchiòri) è di Tito Dell’Osbel di La Valle Agordina. In questo battistero furono battezzati Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, e il grande giurista internazionale padre Felice Cappello S.J., di Caviola, di cui è in corso la causa di beatificazione.
Proseguendo si incontra l’altare delle Anime Purganti, con pala tratta dal Purgatorio del Tintoretto, che conserva un antico tabernacolo della Reposizione appartenente al vecchio altare smantellato nel 1859. L’elegante pulpito in noce risale al XIX secolo. A lato si apre poi la cappella della Beata Vergine del Rosario (ex sacrestia). Il Sant’Antonio posto davanti alla colonna destra dell’arco trionfale è ancora di Amedeo Da Pos. Il presbiterio si apre con l’imponente altar maggiore che racchiude una pala raffigurante San Giovanni Battista “vox clamantis in deserto” attribuita ad Antonio Longo (dipinta tra il 1808 e il 1820). Sopra la pala si vedono Maria Regina, San Pietro e San Paolo. Le quattro finestre sono invece opera recente (1955) in sostituzione delle precedenti, ormai sconnesse e deteriorate. Esse rappresentano il Sacro Cuore di Gesù e di Maria, san Pio X e san Giovanni Bosco. Le due tele poste ai lati rappresentano la nascita e il martirio di san Giovanni Battista: sono copie dipinte dagli allievi dell’Istituto di Belle Arti di Firenze nel 1930 a cura della ditta Alinari. Gli scanni del coro, in legno di noce risalgono all’epoca del restauro del Segusini (1859 ca). Di notevole pregio artistico è il tabernacolo attribuito ad Andrea Brustolon (1696) a cui forse pose mano pure Giovanni Marchiori. Vi è raffigurato Cristo Risorto, San Simone, San Lorenzo, la Deposizione (sulla porticina) e un nimbo di Angeli. Durante questo secolo è stato rialzato dallo scultore Amedeo Da Pos che scolpì la parte inferiore per inserirvi la porticina d’oro attuale. La mensa dell’altare, che sostituisce quella originale in pietra e gesso, è stata eseguita nel 1940 e consacrata il 18 aprile 1941.
Sopra le porte della sacrestia e della cappella della Beata Vergine l’Arciprete don Antonio Della Lucia fece murare due lapidi a ricordo del suo predecessore (don Agostino Costantini), che iniziò il restauro del 1859, e di Giovanni Battista Zanini, che aveva rifatto a sue spese la facciata.
Facendo il percorso a ritroso, da sinistra vediamo il bel crocifisso di Benedetto Da Pos (secolo XIX), padre dell’artista Amedeo. cristo chiesa

 

“L’umiltà del Papa del Sorriso”
La Statua di Papa Luciani
eseguita dallo scultore Cenedese

S’incontra poi la sacrestia nuova (sec. XIX), l’altare della Madonna, la cui cornice e il tabernacolo sono ancora di A. Da Pos (la statua della Madonna di Lourdes fu acquistata nell’anno 1900, come ricordo dell’Anno Santo, dall’Arciprete don Giovanni Battista Zanetti), le statue di Santa Rita e sant’Agnese (1928), che provengono dalla Scuola della Val Gardena.
Proseguendo si incontra l’altare di Santa Lucia e infine la statua di Papa Giovanni Paolo I eseguita dallo scultore Cenedése di Vittorio Veneto (1982); essa rappresenta Papa Luciani mentre affida la sua mitra (il “cappello” dei vescovi) a un bambino: ciò sta a simboleggiare la sua semplicità e la sua straordinaria capacità di dialogo coi piccoli.

                                altare papa

Di rilevante interesse è l’altare eseguito da Dante Moro, scultore di Falcade, in occasione della visita a Canale di Giovanni Paolo II (1979): si presenta come una breve sintesi della vita di Albino Luciani e ne focalizza i momenti più importanti: dalla scena centrale in cui Cristo gli consegna le chiavi del Pontificato sostenendone con una mano il peso, al periodo della sua infanzia e giovinezza quando portava al pascolo le mucche (a sinistra), ascoltava il catechismo sulle ginocchia di mamma Bortola e a sua volta, da chierico, lo insegnava ai bambini; dagli anni del Concilio (a destra), all’incontro col Cardinal Wojtyla e all’abbraccio con i bambini. Ai lati dell’altare sono raffigurate le tre virtù teologali: fede (la conversione di San Paolo), speranza (le mani protese verso l’alto) e carità.

Infine ricordiamo la Via Crucis attribuita a Valentino Rovisi di Moéna (sec. XVIII), le vetrate delle navate, che sono degli anni ’30, mentre i banchi in noce nazionale massiccio, 1996, ripetono il disegno originale del Segusini.

 

INTERVENTI DI RESTAURO NELLA PARROCCHIALE DI CANALE D’AGORDO

Nella chiesa parrocchiale di Canale d’Agordo, dedicata a S. Giovanni Battista, sono stati effettuati lavori interni di restauro nel 2017.

Le opere, eseguite dalla ditta Pescoller di Brunico, come sempre accade nel restauro, hanno fornito conferme e nuove informazioni rispetto alla storia dell’edificio.

Gli interventi di discialbatura (rimozione attenta delle recenti tinteggiature) hanno rimesso in luce le antiche superfici con i colori originari risalenti all’intervento realizzato nella seconda metà dell’Ottocento dall’arch. Segusini: questi appaiono chiari e luminosi con tenui effetti d’ombra, per dare il senso dei volumi, e sono pervasi da un leggerissimo tono di verde chiaro sommesso.

Notevole è la differenza con i colori giallognoli e scuri che vi erano sovrapposti, anche a causa della polvere e della sporcizia che si era accumulata nel tempo.

Molte sono state anche le cose scoperte e le situazioni inaspettate:

la lesione longitudinale: una volta montato il ponteggio ci si è resi subito conto, potendo osservare da vicino la maestosa volta, che lungo di essa si sviluppava una fessurazione quasi per l’intera lunghezza. Si è quindi eseguita la riconnessione dei lembi mediante la formazione di microcuciture armate formate da sottili barre in acciaio inox che hanno riunito le due “sponde” penetrando su entrambe, proprio come una vera cucitura.

La rosetta del lampadario: all’incrocio delle nervature dipinte, al centro di ogni voltina, è posta una rosetta finemente decorata, una diversa dall’altra, e in particolare quella centrale reca un foro attraverso il quale era fissato il lampadario. Si è proceduto a ripristinarlo anche nella sua funzione, ponendo un gancio per poter ricollocare il lampadario.

La volta “vera”: facendo proprio queste operazioni si è potuto constatare che la volta della chiesa è una volta “vera” e cioè non è costituita (come quasi tutte quelle dal Settecento in poi) da un graticcio di listelli intonacati, ma invece da una struttura muraria vera e propria in pietrame e tufo.

Tale situazione ci ha fatto capire che la volta è ancora quella cinquecentesca e che quindi il Segusini, con i suoi interventi, l’ha solo rivestita.

L’ampliamento dell’abside: nel corso del Seicento venne allungata l’abside per renderla più maestosa ed accogliere  il coro ligneo. Tale aggiunta è riemersa durante i lavori mostrando delle lesioni proprio lungo il profilo dell’innesto dell’ampliamento. Anche qui si è proceduto alla ricucitura delle stesse.

I residui della decorazione cinquecentesca: a conferma che la volta è ancora quella del XVI secolo sono state rinvenute le tracce dell’antichissima decorazione.

Bisogna ricordare che il Segusini aggiunse alla chiesa delle paraste con capitelli e sopra di esse un alto cornicione aggettante; ebbene, proprio dove le nervature della volta affondano nel cornicione si vedono ancora le parti delle nervature cinquecentesche, decorate in toni di rosso e giallo oro, simili ai colori visibili nella vicina S Simon.

Altre porzioni dipinte in modo delicato ed accurato, si sono rivelate durante la discialbatura e ci fanno intuire che la chiesa cinquecentesca doveva essere veramente notevole, soprattutto per quei tempi, sia per le dimensioni che per le finiture.

È chiaro che tali decorazioni permangono sotto gli intonaci aggiunti dal Segusini nel suo “ammodernamento”.

Gli interventi precedenti: nel difficile e paziente lavoro di pulitura sono riemerse anche date e nomi relativi a precedenti lavori di restauro, in particolare quelli eseguiti nel 1902 e nel 1930 e la tinteggiatura realizzata nel 1985.

A questi si aggiunge ora il nostro.

Il cartiglio sull’arco trionfale: al centro dell’arco trionfale posto tra aula e presbiterio, è riemerso un cartiglio dipinto, con la dedicazione a San Giovanni Battista, che è stato rimesso in luce e restaurato.

Arch. Gloria Manera